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La civiltà greca
L’uomo ha sempre cercato di dominare la natura e gradualmente a comprenderla. Molto tempo dopo egli imparò a combinare i due desideri: fu allora che la scienza moderna prese forma. Ma lo sviluppo della scienza moderna poggia sulla curiosità e l’interesse di molti secoli nei quali le tecniche per esplorare la natura furono sviluppate lentamente, e la conoscenza lentamente accumulata. Tutti gli uomini hanno inventato mezzi per esercitare un controllo sulla natura. La tecnologia primitiva non fu il solo mezzo attraverso cui l’uomo cercò di sottomettere la natura: egli provò anche la magia, con lo scopo di alterare il corso della natura, ed il mito, legato soprattutto a quelli cosmogonici, simili in tutto il mondo. Le vere origini della scienza moderna vanno ricercate in Mesopotamia, dove intorno al 4000 a. C. si sviluppò una fiorente civiltà, quella dei Sumeri prima e dopo quella dei Babilonesi. In quanto popolo di commercianti, si interessarono di numeri. Svilupparono un sistema sessagesimale, cioè basato sul numero 60, del quale oggi ci rimane la suddivisione dell’angolo giro in 360° oppure l’ora in 60 minuti ed il minuto in 60 secondi. Possedevano tavole di moltiplicazioni di grande complessità, ma anche tavole di quadrati e di cubi, radici quadrate e cubiche, numeri reciproci e anche tavole che fornivano la soluzione di problemi che oggi risolviamo facilmente attraverso l’uso delle equazioni. Pertanto erano in grado di risolvere equazioni complesse ma sempre in termini numerici, poiché non possedevano la nozione di generalità. Nonostante la presenza di una grande quantità di dati, conosciamo poco sul pensiero dei matematici babilonesi e soprattutto sulla presenza di una struttura teorica sottostante. Nel campo astronomico sappiamo che i sumeri utilizzavano un calendario lunare, mentre i babilonesi (dopo il 2000 a. C.) registrarono molte osservazioni del moto della luna, del sorgere e tramontare di Venere e Mercurio, e di eclissi. Furono in questo periodo che vennero denominate le costellazioni (lo zodiaco). Il fine di tutte queste registrazioni di fenomeni celesti era di carattere astrologico. Moltissimo tempo dopo (500 a. C.), quando la Mesopotamia era dominata dai greci, si sviluppò un’astronomia matematica altamente elaborata e complessa. Infatti, dopo il 300 a. C., vennero effettuate due previsioni della lunghezza dell’anno solare corrette a meno di pochissimi minuti. La situazione nella vicina civiltà dell’Egitto era comparabile con quella del bacino mesopotamico. Nonostante le colossali costruzioni di tombe e monumenti, come le piramidi, la geometria egiziana era molto elementare, ed al pari di quella babilonese, aveva uno scopo prettamente pratico e non teorico. Il sistema numerico egiziano era più rudimentale di quello babilonese, e i metodi di calcolo davvero elementari. Diversamente dai babilonesi, gli egizi mostrarono uno scarso interesse sia per gli eventi astronomici a scopo astrologico sia per le previsioni matematiche del moto della luna. Usarono calendari lunari e solari e potrebbero aver comparato i due al fine di determinare l’errore in lunghi cicli di tempo. Nonostante l’uso magistrale delle più sofisticate tecniche, sia gli egizi che i babilonesi mancarono di curiosità nel comprendere perché queste tecniche funzionassero. In nessuna fase cominciarono a speculare sulla natura, a costruire un sistema di pensiero. Essi influenzarono i loro successori tecnicamente, come i greci, ma non concettualmente. Le prime origini della fisica come scienza, risalgono alla Grecia del VI secolo avanti Cristo, quando alcune scuole del tempo cercarono di spiegare i fenomeni naturali attraverso gli elementi primordiali (terra, acqua, aria e fuoco) o mediante concetti astratti quali i numeri della scuola pitagorica. Si giunge così alla teoria atomistica di Leucippo e Democrito, secondo la quale tutta la realtà, anima compresa, è materiale ed è composta di atomi in continuo movimento in uno spazio vuoto (meccanicismo atomistico). Tutte queste concezioni sono state soppiantate, nel secolo IV avanti Cristo, dal sistema fisico-filosofico di Aristotele, che ha fondato la fisica sull'osservazione, distinguendo tra due mondi, quello celeste e quello terrestre. Il mondo celeste, incorruttibile e inalterabile, è costituito da sfere concentriche, ognuna delle quali sostiene un pianeta, ed è limitato dalla sfera delle stelle fisse; i moti delle sfere, considerati naturali ed eterni, sono impressi da un motore primo immobile. Il mondo terrestre, o sublunare, d'altra parte, fermo al centro dell'Universo, è un miscuglio di vari elementi che tendono a portarsi verso i loro "luoghi naturali", rappresentati dalle sfere concentriche della terra, dell'acqua, dell'aria e del fuoco. I moti conseguenti sono considerati naturali in contrapposizione a quelli violenti che ostacolano o deviano gli oggetti dalla realizzazione di questo fine. L'elemento essenziale della fisica del moto, cioè della meccanica, di Aristotele è che qualsiasi moto ha bisogno di una forza per potersi mantenere. La velocità del movimento risulta direttamente proporzionale alla forza che lo sostiene e inversamente proporzionale alla resistenza del mezzo nel quale si compie. Poiché nel vuoto la resistenza è nulla, in esso la velocità di un corpo dovrebbe essere infinita. Di conseguenza, per Aristotele, il vuoto non può esistere. La concezione aristotelica, per la sua coerenza e la capacità di giustificare il sistema astronomico di Tolomeo e di fornire una visione finalistica del mondo, accettata dal cristianesimo, ha avuto per secoli un incontrastato successo. Solo molto più tardi hanno preso consistenza antichi problemi della fisica aristotelica rimasti irrisolti. Un momento decisivo del suo superamento è stato l'introduzione del sistema astronomico di Copernico che, ipotizzando l'eliocentrismo (il Sole al centro dell'Universo), era incompatibile con la fisica di Aristotele.